giovedì 14 gennaio 2010

LA STORIA DELLA MINI

Dopo numerose richieste ricevute al nostro indirizzo E-mail, ci sembra doveroso parlare un po’ della storia della Mini!
Di seguito quello di più dettagliato che abbiamo trovato nel web!
Buona lettura:

Il 18 novembre 2006 Sir Alec Issigonis, il geniale creatore della Mini, avrebbe compiuto 100 anni. In omaggio a questa ricorrenza, BMW pubblica un’interessante storia della Mini “Classic”, che riproponiamo ai nostri lettori, accomagnandola con 87 interessanti immagini che testimoniano i momenti salienti della storia della vettura, dai primi disegni alle ultime versioni. Nel testo anche i dati tecnici delle principali Mini “storiche”. Buona lettura!
Sir Alec Issigonis, non poté frequentare l’università e definiva la matematica «il nemico peggiore di qualsiasi persona creativa». Niente, però, lo affascinava più della tecnica pura. Se era convinto di un’idea, non conosceva compromessi. Quella più famosa segnò lo sviluppo dell’automobile per decenni: la MINI Classic. Il 18 novembre 2006, Sir Alexander Arnold Constantine Issigonis avrebbe compiuto 100 anni.
«Guasti a catena» con la prima macchina.
Egli aveva ereditato l’interesse per la tecnica e le macchine dal padre, che, inglese di origine greca, all’inizio del ’900 conduceva nella città portuale di Smyrna, l’odierna Izmir, un’azienda dedita alla motoristica navale. Ispirato da tale attività, Alexander – che veniva chiamato semplicemente Alec – iniziò ad interessarsi soprattutto di locomotive e di macchine a vapore. Nel 1922, durante i trambusti legati alla fondazione dello stato turco, egli dovette rifugiarsi con la famiglia a Malta, dove il padre morì. Seguì dunque sua madre in Inghilterra dove, due anni più tardi, entrò in possesso della sua prima automobile: una Singer con carrozzeria Weymann, con la quale nel 1925 portò a passeggio sua madre in una «serie infinita di guasti» – come disse Issigonis più tardi – attraverso tutta l’Europa. Un’esperienza che si incise in maniera indelebile nella sua memoria, tanto da indurlo, dopo il suo ritorno, ad iscriversi al politecnico Battersea di Londra ad un corso di formazione triennale in ingegneria meccanica. La sua vocazione per le attività di artigianato ed il suo entusiasmo per il disegno tecnico compensarono la sua avversione per la matematica, cosicché Issigonis riuscì, seppure a fatica, ad ottenere il diploma, senza però ottenere la possibilità di proseguire gli studi all’omonima università.
Piccola, leggera, veloce: la Lightweight Special.
Iniziò dunque a lavorare come disegnatore tecnico e venditore presso un ufficio tecnico per sistemi automobilistici di Londra. Con la sua prima paga acquistò una Austin Seven, la trasformò in auto da competizione e in marzo 1929 partecipò alla sua prima gara. Negli anni seguenti, sviluppò nel suo tempo libero una propria monoposto con caratteristiche costruttive che lo resero poi famoso: la «Lightweight Special» era piccolissima, estremamente leggera ma tecnicamente all’avanguardia, così che ottenne numerosi successi.
Nel 1934, Issigonis passò a far parte del team di progettisti del costruttore automobilistico Humber Ltd. a Coventry e partecipò allo sviluppo delle sospensioni indipendenti. Già due anni più tardi venne recrutato dalla Morris Motors grazie alle sue capacità nel campo della telaistica e delle sospensioni. Durante la guerra ebbe necessariamente a che fare con vari veicoli militari, che da buon pragmatico seppe sfruttare come veicoli di prova per alcune innovazioni tecniche. Nel 1941 la Morris diede il via al progetto «Mosquito», una quattro posti compatta per il dopoguerra. Nonostante le innumerevoli difficoltà, il team tutt’intorno ad Issigonis, vero e proprio workaholic, riuscì non solo a realizzare in tre anni un prototipo in ordine di marcia, ma anche a creare quella vettura che, a partire dal 1948, con il nome di Morris Minor, fu anche il modello di maggior successo del dopoguerra di quella marca.
Tre serie da un’unica mano: prima la Mini, poi la Midi ed infine la Maxi.
Quattro anni più tardi, la Morris si fuse con la Austin Motor Company e formò la British Motor Corporation, nella quale Issigonis non vide un futuro promettente per la sua creatività. Egli passò dunque alla Alvis, per sviluppare una limousine di lusso. Il progetto fallì per motivi finanziari e la BMC assunse l’ingegnere nel 1955 in qualità di vicedirettore tecnico nello stabilimento della Austin di Longbridge. Il suo incarico: lo sviluppo di tre nuove serie per la classe compatta, la classe media e la classe di lusso, che avrebbero dovuto garantire il futuro all’allora più grande casa automobilistica europea. Egli, grazie al suo modo di lavorare autoritario ed esigente, resistette alla pressione che, dal 1956, come conseguenza della crisi di Suez, gravava sul progetto. In tempi brevissimi riuscì a sfruttare al massimo le capacità del proprio team, senza però fare alcun compromesso sostanziale. Nonostante ciò, i suoi dipendenti non solo lo rispettavano, ma ne nacquero anche amicizie che durarono per tutta la sua vita. Nel 1959 debuttò il risultato di tale lavoro, la MINI Classic, mentre tre anni più tardi nacque la quattroporte di classe media Morris 1100, nel 1964 poi la spaziosa Austin 1800.
Carriera e titolo di Cavaliere: le onorificenze per il lavoro di tutta una vita.
Il successo della MINI Classic rese famoso in tutto il nome anche quello del suo creatore, che dava molto valore al fatto di «non avere inventato la Mini, ma di averla costruita». Nel 1961, in veste di Direttore Tecnico, Alec Issigonis entrò a far parte del consiglio di amministrazione della Austin Motor Company, mentre due anni più tardi lo divenne di quello dell’intera BMC. Nel 1967 venne eletto membro della più famosa associazione britannica per la ricerca, la Royal Society, mentre due anni più tardi la Regina investì il padre della MINI Classic del titolo di Cavaliere. Sir Alec Issigonis andò in pensione nel 1971, rimanendo però attivo per l’azienda sino al 1987 in qualità di consulente. Morì il 2 ottobre dell’anno successivo, poco prima del suo 82° compleanno.
2. Una piccola storia della MINI Classic.
Alexander Arnold Constantine (Alec) Issigonis è il padre della MINI Classic. Alla fine del 1956 ricevette da Leonard Lord, capo della British Motor Corporation (BMC), l’incarico di realizzare il più presto possibile «un’utilitaria come si deve». L’idea piacque molto ad Issigonis. La costruzione di un’automobile piccola e perfetta era sempre stato uno dei suoi desideri preferiti. Ora si trattava di realizzare le proprie idee anche sulla carta e di trasformarle in realtà all’interno del proprio team. La sua visione: una piccola quattro posti con sfruttamento ottimale dello spazio e buon confort di marcia, tecnicamente ed otticamente differente da tutte le automobili esistenti e per tutte le tasche.
Tutto iniziò con la crisi di Suez.
La responsabilità per tale progetto è da imputare ad una persona, che con le automobili non aveva nulla a che fare. Il 26 luglio 1956, un mese dopo il ritiro delle truppe britanniche dalla zona del canale di Suez, Gamal Abd el-Nasser, presidente dell’Egitto, decise la nazionalizzazione della società di gestione del canale bloccando lo stesso al traffico. Gli inglesi ed i francesi, titolari di maggioranza della società, inviarono immediatamente dei paracadutisti sul canale, che però rimase chiuso per alcuni mesi. La conseguenza: i prezzi del greggio e della benzina salirono alle stelle, mentre l’Inghilterra propose di razionare la benzina a dieci galloni al mese. Da tale punto di vista sembrava dunque che fossero destinate a sopravvivere solo automobili dai consumi estremamente contenuti.
Grandi progetti con un piccolo budget.
L’obiettivo da raggiungere sembrò chiaro: lo sviluppo di una piccola vettura dai consumi ridotti secondo la tradizione del modello d’anteguerra Austin Seven e della leggendaria Morris Minor. Poiché a quei tempi la BMC – come anche molti altri costruttori di automobili – disponeva di risorse finanziarie limitate, Lord fece attenzione a mantenere bassi sia i costi di sviluppo che i tempi di realizzazione. Una condizione che la futura automobile dovette dunque soddisfare fu quella di usare un motore già in produzione. La British Motor Corporation (BMC) era nata per necessità finanziarie nel 1952 dalla fusione di più costruttori inglesi di automobili ed aveva in programma marchi quali Austin, Morris, Riley e Wolseley.
Ingombri ridotti: trazione anteriore e motore trasversale.
Issigonis optò per il concetto di trazione anteriore con motore trasversale. Fu dunque inevitabile che la scelta cadesse sul motore cosiddetto di serie A. Questo motore, da 948 cc di cilindrata ed usato anche nella Morris Minor, aveva una potenza di 37 CV. Era pur sempre più che sufficiente: una prima automobile sperimentale raggiunse una velocità di ben 150 chilometri all’ora, che però la piccola vettura non era capace di reggere: né le sospensioni, né i freni erano in grado si sopportare tali sollecitazioni. La potenza venne dunque ridotta a 34 CV riducendo la cilindrata a 848 ccm, soluzione che permetteva pur sempre una velocità di ben 120 km/h.
Un particolare di spicco della MINI Classic – diventato poi caratteristico – erano le graffature della lamiera rivolte all’esterno fra i parafanghi e la carrozzeria. Tale soluzione era dettata da puri motivi economici: infatti, dal punto di vista della produzione, i cordoni di saldatura sono molto meno costosi se eseguiti sul lato esterno. Un secondo particolare che lasciava riconoscere una produzione più economica erano le cerniere delle portiere, anch’esse situate all’esterno. Dovettero rispettare questa filosofia minimalistica anche gli interni: per l’apertura della portiera venne usato un semplice tirante mentre, davanti, il guidatore ed il passeggero guardavano invece che su un cruscotto su una semplice e piccola mensola. Al suo centro era stato integrato come strumento centrale il tachimetro con contamiglia ed indicatore del carburante. Al di sotto, due interruttori a bilancino per i tergicristalli e per le luci, e la macchina era pronta – l’impianto di riscaldamento era infatti disponibile solo a pagamento. Perfino il modello De-Luxe impreziosito da elementi cromati non prevedeva il riscaldamento di serie, ma offriva pur sempre fondo in moquette, applicazioni in pelle sui sedili ed un posacenere.
Un peso piuma: un’automobile da 600 chili.
Una MINI Classic equipaggiata con la dotazione di serie pesava ca. 600 chilogrammi e permetteva pure di portare con sé un po’ di bagaglio. Se a qualcuno i 195 litri del bagagliaio non bastavano era sufficiente lasciare aperto il cofano: essendo incernierato in basso, permetteva di trasportare oggetti ingombranti fissandoveli con una certa stabilità. Di ciò non si fece sicuramente un segreto; infatti, nei prospetti patinati dell’epoca, si pubblicizzò molto e in numerose sfumature questa variabilità di carico.
Il debutto: 26 agosto 1959.
Il 26 agosto 1959 giunse il momento di presentare la MINI Classic al mondo. La presentazione avvenne contemporaneamente in tutti i paesi in cui la BMC era rappresentata. Essa fu introdotta sul mercato dapprima in due varianti, come Morris Mini-Minor e come Austin Seven, che si differenziavano però solo dalla griglia del radiatore, dai colori della carrozzeria e dai copriruota. I vari esemplari provenivano però da stabilimenti differenti, l’Austin veniva costruita a Birmingham, mentre la Morris a Oxford. Più tardi la BMC produsse entrambe le versioni in entrambe le sedi. Nel suo paese di origine, la MINI Classic costava 496 sterline inglesi ed era dunque la seconda vettura più economica sul mercato.
Economica ma pur sempre di valore.
La «Incredible Austin Seven» – nella prima foto pubblicitaria la v era ruotata di 90° – andava ad affrontare una concorrenza sicuramente più costosa ma ampiamente affermata: la Volkswagen, la Dauphine della Renault o la Fiat 600. La leggendaria rivista specializzata inglese «The Autocar» attestò alla nuova nata: «La moda porta spesso alla luce delle creazioni automobilistiche insulse, ma se una tematica viene affidata ad ingegneri intelligenti e ragionevoli, è possibile che il risultato sia veramente apprezzabile». Nonostante che la novellina inglese si battesse bene contro la concorrenza anche nella stampa internazionale, le vendite iniziarono a rilento. Per gli acquirenti giovani essa era ancora troppo cara nonostante il suo prezzo contenuto, mentre per i più abbienti la sua dotazione era troppo spartana. La rivista tedesca «Motor Revue», nell’ambito di una prova della Austin Seven, scriveva nel 1960: «La più interessante di tutti (ad eccezione del prezzo). È per questo che sulle nostre strade questa straordinaria automobile (sospensioni in gomma, motore a quattro cilindri trasversale, motore e cambio in bagno d’olio, ruote da 10″ a basso costo, interni eccezionalmente spaziosi, ingombri ridotti) è praticamente invisibile; una cosa che questa macchina non merita, in quanto da noi, spesso, per più soldi si comprano automobili meno complete – ma al nostro pubblico automobilista manca la capacità di valutare con chiarezza.» A quei tempi, dall’importatore, la MINI Classic costava 5.780 DM – mentre una Volkswagen era disponibile già a partire da 4.600 marchi, mentre la nuovissima BMW 700 Sport poteva essere portata a casa per 5.650 DM.
La spinta della Regina.
Nemmeno il fatto che bastasse uno spazio di 3,50 metri per parcheggiare i tre metri e cinque centimetri della MINI Classic ebbe la risonanza desiderata. Ad un certo momento, però, gli ambienti mondani londinesi scoprirono questa versatile vettura, in capo a tutti Lord Snowdon, coniuge della principessa Margaret. Anche sua sorella, la Regina stessa, si fece convincere a fare un giro di prova con la MINI Classic proprio con Alec Issigonis in persona, cosa che donò alla piccola vettura quell’immagine che ancora le mancava. Anche negli Stati Uniti nacque una certa curiosità per questo pulcino europeo, che venne così accettato con benevolenza. Una rivista statunitense del settore scrisse nel 1960: «È lecito sostenere che la Austin sia l’automobile più piccola del mondo che possa essere chiamata tale. Dobbiamo riconoscere che anche in quattro non si hanno problemi di spazio, e che si siede persino più comodamente che non in una delle grandi automobili del nostro paese. E nonostante che guidarla sia molto divertente, essa è da considerare un’automobile veramente reale, ben concepita e dalle grandi potenzialità.»
Nuove varianti già nel primo anno di produzione.
Nel 1959, dalle linee di montaggio uscirono 19.749 Austin Seven e Morris Mini-Minor, l’anno seguente furono già 116.677. Con l’aumentare del successo aumentarono anche i requisiti posti alla MINI Classic. Nel 1960 la BMC reagì con due varianti, la Van e la Estate. Sia il furgoncino chiuso che la station wagon finestrata possedevano due portelloni posteriori. Solo nel 1961, però, si iniziò a comprendere quali fossero le vere potenzialità della MINI Classic: si partì all’inizio dell’anno con l’animale da soma più piccolo, la Mini Pick-up. Sei mesi più tardi seguirono due modelli sull’estremità contrapposta della scala, quella più nobile, la Wolseley Hornet e la Riley Elf con signorili radiatori diritti ed alette a coda di rondine sulla parte posteriore della vettura. Nel secondo semestre seguì poi una variante che diede vita come nessun’altra alla leggenda della MINI Classic, la Cooper.



Articolo tratto da:
http://www.virtualcar.it/la-storia-della-mini-omaggio-ad-alec-issigonis/